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Claudio Cojaniz – Cracking (Caligola Records, 2025) Recensione di Riccardo Talamazzi

Radio Roccella | 18 Aprile 2025

Non so se il trio, inteso come setting strumentale, sia stato effettivamente il primo amore di Claudio Cojaniz. Così suggerisce il virgolettato della veneta Caligola Records apparso sulla pagina web di ADEIDJ – l’Associazione Italiana delle Etichette Indipendenti di Jazz – presentando ufficialmente Cracking, l’ultimo album del pianista e compositore friulano. Sembra comunque che la formula triangolare costituita da piano, contrabbasso e batteria, possa essere tra le strutture più favorevoli in grado di esaltare l’indole lirica e immaginifica di Cojaniz, di cui Off Topic si era già occupata nel recensire Black (2023), offrendo una serie d’informazioni a cui si rimanda per gli opportuni cenni biografici – vedi qui. Occorre però sottolineare come l’allora componente ritmica del trio di Black, nelle persone dei validi Mattia Magatelli e Carmelo Graceffa, venga in Cracking sostituita da due compagni di viaggio di lungo corso dell’Autore, gli altrettanto brillanti Alessandro Turchet al contrabbasso – già con Naviganti e Sognatori nei loro due album, vediqui e qui  – e Luca Colussi alla batteria, musicista di grande e versatile esperienza di cui ricordiamo inoltre l’appartenenza all’interessante XY Quartet.

Questo trio, organizzato da artisti che si conoscono a fondo quasi a costituire una sorta di famiglia musicale, agisce sulle numerose sfumature ambivalenti presenti nei brani dell’album, procedendo quindi da momenti di pura malinconia – vicini all’ispirazione del sudafricano Abdullah Ibrahim – ad altri più gioiosi e dinamici. In questi ultimi si avvertono sia le risonanze dei fraseggi insidiosamente irregolari di Monk e persino, in un brano come Piazza San Vittorio, i colori intensi e multiculturali che rimandano a immagini del mondo caraibico. Del resto, l’amore per l’Africa, le radici del blues e il jazz pianistico più classico, che sono costantemente presenti nelle corde personali di questo Autore, convergono mescolandosi senza sforzo in modo ancor più tangibile proprio tra le note di questo ultimo lavoro, il cui il titolo sembra evocare l’immagine di una frattura, di una perdita. L’album è dedicato infatti ad una coppia di amici dell’Autore scomparsi prematuramente e celebrati coi loro nomi nel terzo brano di questa selezione. Però, attorno a questo stesso titolo, Cracking, si può aggiungere anche un’altra interpretazione, oltre a quella appena fornita. Possiamo pensare, più prosaicamente, ad una soluzione di continuità che metta in comunicazione più piani musicali confinanti, venendo a creare così un’apertura insolita e un nuovo risvolto creativo, inaspettato e vantaggioso per l’economia dell’album. Di certo l’opera complessiva di Cojaniz riflette comunque da sempre l’idea di un mondo musicale duttile e pregiato, tutt’altro che chiuso in sé stesso, con l’Autore in grado continuamente di reinventarsi – e quindi di non ripetersi – senza tuttavia perdere la propria identità. La sua esperienza di pianista navigato gli permette di evitare le trappole dei virtuosismi fini a sé stessi, sfruttando l’oratoria di un linguaggio essenziale, emotivamente intenso e senza prolissità. Il contesto dell’album è quanto mai dinamico e spesso utilizza sweet chords accanto alle dissonanze monkiane, così come avviene nel primo brano dell’album, Carafa Sphere. Riff accattivanti e melodie dall’incedere seducente, tra ballate ed accorate partecipazioni emotive, tendono a succedersi lungo i vicoli smaliziati del percorso di Cracking, spesso alludendo ad un moderno ed elegante cross-over stilistico. La componente ritmica s’alterna tra il modo propulsivo della batteria presente in alcuni brani e l’accompagnamento da blues ballad emergente nelle tracce più tranquille, con alcuni momenti riflessivi gestiti in particolar modo dagli assoli del contrabbassista Turchet.

Carafa Sphere, il brano posto in apertura dell’album, è un esempio di quella ambiguità creativa a cui poco sopra si accennava. La composizione oscilla infatti tra la leggerezza di una serotina melodia africana, con quelle percussioni ammorbidite che ne accompagnano la linearità espressiva e il fraseggio divergente e spinoso che richiama Thelonious Monk. Old Blues ci riporta verso territori più usuali con l’accattivante giro armonico jazz-blues e il piano asciutto del leader che non si perde in fraseggi ossessivi ma dipinge il suo quadro essenziale tenendosi lontano da ogni eccesso. La piacevolissima costruzione basata su sequenze accordali aperte mi ha ricordato il blues di Dr.John, pieno di sentimento e divertimento, lontano anni luce, come in questo caso, da qualsiasi concettualizzazione. C’è spazio per un lungo assolo di contrabbasso con lo swing in punta di dita offerto da Turchet.

Toni e Maurizio sono il nome dei due amici di Cojaniz recentemente scomparsi a cui l’Autore ha dedicato questo epicedio. Si tratta di una delicata ballata pianistica dal sapore jarrettiano, un intreccio tra dolore e affetto per dare forma al loro ricordo. Non c’è alcun patetismo, ma quasi un ragionevole distacco, frutto di una meditazione se vogliamo a freddo, suggerita dal Tempo che tuttavia accende ugualmente un ampio ma dignitoso ventaglio di sentimenti. Preceduto da un abbrivio di solo contrabbasso, il brano è caratterizzato da una buona dose di pause e riflessioni. Con la title-track Cracking, viene celebrata la frattura presente nel titolo dell’album. Si torna dalle parti di Monk, dove Cojaniz lavora a fondo su delle rischiosissime dissonanze che denunciano una potente tensione creativa, del resto sottolineata anche dall’intervento tambureggiante di Colussi alla batteria, verso il finale del brano. Insomnia celebra un’atmosfera eterea, dalle sotterranee cadenza bluesy ma eseguita in forma di ballad. Qualche misurato romanticismo in stile Evans, dove l’Autore mostra il suo lato più melodicamente vulnerabile. La tecnica eccellente ci fa capire anche la duttilità del suo pianoforte che come abbiamo finora potuto osservare, passa con naturalezza da ballate celebrate come un rito in onore della più pura armonia a momenti maggiormente turbolenti, in cui predominano il rischio e la sorpresa. Grande prova anche da parte di Turchet che immette le sue note melodiche all’interno di un dialogo con Cojaniz, circondato da un delicato gioco percussivo sui piatti della batteria. Questo mi sembra tra i momenti qualitativamente più alti dell’intero album, però Piazza San Vittorio che segue nell’immediato è il brano decisamente più divertente, rifacendo bonariamente il verso a Belafonte e al suo calypso. La struttura armonica è semplificata sopra la falsariga di una quasi-canzone, mentre la melodia oltre che dal piano viene ripresa dal contrabbasso. Ci sono colori accesi e gioia di vivere con percussioni ammiccanti che stimolano il movimento e la danza, mentre il pianoforte si muove costantemente rilassato e persuasivo. Ultimo brano è Big Sure, introdotto da un’impostazione ritmica particolarmente serrata su cui il pianoforte pare improvvisare liberamente. Ben presto l’onda di libera creatività coinvolge tutto il trio ed in effetti questo brano chiude all’insegna della più completa libertà espressiva.

In un mondo in cui la musica spesso si perde tra perfezionismo e sterile virtuosismo, Cracking è un promemoria sincero di ciò che rende questo jazz così profondamente umano, cioè la fragilità, la memoria, il dialogo. Cojaniz e il suo trio non ci offrono solo un album, ma una mano tesa, un invito a entrare in una dimensione dove il tempo si ferma e le note si fanno coscienza. Il dolore per la perdita, la gioia di ritrovarsi, la forza del ricordo: ogni brano è un pezzo di vita, suonato con un’intensità che cerca solo di restituire all’ascoltatore qualcosa di più che un semplice frammento di sincerità.

 

Tracklist:
01. Carafa Sphere (04:14)
02. Old Blues (06:19)
03. Toni e Maurizio (04:45)
04. Cracking (03:50)
05. Insomnia (05:45)
06. Piazza San Vittorio (05:46)
07. Big Sur (04:57)

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Written by Radio Roccella





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